Mostra Le mura megalitiche al complesso del Vittoriano dal 5 giugno all’ 8 luglio 2009, Roma

di Redazione Commenta

“Le mura megalitiche. Il Lazio meridionale tra storia e mito”: dal 5 giugno all’8 luglio 2009 il Complesso del Vittoriano ospita una mostra di carattere storico, artistico e archeologico che vuole far conoscere una grande ricchezza del nostro territorio, le mura poligonali, sconosciuta ai più. Una nuova idea del territorio che la Regione Lazio realizza in questa occasione attraverso il “grande attrattore” delle mura megalitiche con lo scopo di sostenere, valorizzare e promuovere il patrimonio culturale del territorio laziale.

Promossa dalla Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, e la Provincia di Frosinone, la mostra si avvale della curatela di Giuseppe Guadagno, Giovanni Maria De Rossi, Daniele Baldassarre. La direzione e il coordinamento generale della mostra sono di Alessandro Nicosia.

LE OPERE
Oltre 100 le opere esposte tra incisioni, litografie, disegni, acquarelli, stampe, olii, libri, lettere, fotografie d’epoca, mappe, planimetrie, scenografie, pannelli, gigantografie e video, che ripercorrono e ricreano per la prima volta insieme la storia, il mito, le vicende e le ipotesi archeologiche, le suggestioni esercitate sui viaggiatori dell’ Ottocento e non solo, delle mura megalitiche presenti nel Lazio meridionale e precisamente nel territorio del frusinate.

In mostra saranno testimoniate le imponenti mura presenti ad Alatri, Arpino, Atina, Cassino, Ferentino, Sora, Veroli. Inoltre, verranno analizzate le mura poligonali anche di altri centri della Provincia di Frosinone a tutt’oggi rinvenute in un lavoro in continuo divenire: Alvio, Anagni, Aquino, Ausonia, Boville Ernica, Casalvieri, Castro dei Volsci, Castrocielo, Ceccano, Collepardo, Colle San Magno, Coreno Ausonio, Filettino, Monte San Giovanni Campano, Posta Fibreno, Rocca d’Arce, San Biagio Saracinisco, San Donato Val di Comino, San Vittore del Lazio, Sant’Elia Fiumerapido, Serrone, Supino, Trevi nel Lazio, Vicalvi, Villa Santa Lucia.

LA MOSTRA
Quando vidi queste pietre nere e titaniche che sono conservate così bene, come avessero soltanto degli anni, invece di essere antiche di millenni, la mia ammirazione per la potenza umana, divenne molto più grande di quando avevo visto il Colosseo a Roma …”.
La suggestione esercitata fino ad oggi dalle mura megalitiche traspare dalla descrizione che Ferdinand Gregorovius, storico, viaggiatore e scrittore tedesco in visita nella metà dell’ 800 in Italia, fa delle mura poligonali di Alatri.

Come afferma Giovanni Maria De Rossi, la riscoperta delle mura poligonali attuata anche attraverso la mostra ospitata al Vittoriano, costituisce un doveroso attestato di stima e riconoscenza verso un sistema costruttivo che nel suo lungo divenire strutturale ha lasciato, tra luci e ombre, incredibili e significative tracce anche nell’ area del frusinate. Le luci sono date dallo splendore delle maestose strutture che ancora oggi, come in un novello “grand tour”, meritano di essere visitate; le ombre derivano soprattutto dalle molte domande che ancora perdurano: è oggi opportuno affrontare le relative argomentazioni per quelle che sono, vale a dire delle problematiche archeologiche e non dei misteri.

Le mura in opera poligonale sono delle strutture realizzate a secco, senza cioè l’ uso di leganti, quali malte o terre argillose, affiancando e sovrapponendo blocchi, detti anche “conci”, di medie e grandi dimensioni, a formare una costruzione megalitica. Comune denominatore doveva essere la coscienza che si andava realizzando una struttura che non era solo una “muratura” ma un vero e proprio “muro”, destinato a ben precise finalità, recinzione urbana, fortificazione, terrazzamento, ecc., e quindi “costruito”, pur nella spontaneità, con dei contenuti strutturali e statici necessari, e perciò ripetitivi.

Tracciato sul terreno il perimetro urbano, il lavoro doveva essere suddiviso in più lotti affidati a gruppi di maestranze specializzate sia nel taglio che nella messa in opera del pietrame: stiamo parlando, cioè, di una serie di cantieri ante litteram. Selezionate per grandezza e forma le pietre affioranti e staccate dalle pareti del banco calcareo, si procedeva a far arrivare gli altri blocchi al punto prescelto mediante scivolamento su piani inclinati di terra, con l’ausilio di slitte e rulli lignei ed un sapiente uso del cordame.

La resistenza di costruzioni del genere, realizzate con la tecnica muraria a secco, con blocchi né ingrappati né imperniati né, tantomeno, uniti da leganti cementizi, era demandata esclusivamente alla forza d’ inerzia. Quindi, coesione e compressione, sollecitate dal rapporto fra volumetria, sovrapposizione e affiancamento dei blocchi, garantivano staticità e resistenza, soprattutto alle spinte verticali. Con il semplice aiuto di leve lignee si procedeva all’affiancamento dei blocchi sino a realizzare un primo filare della lunghezza prestabilita e poi i successivi ricorrendo via via ad un livellamento e inserendo zeppe lapidee. Filare dopo filare si raggiungeva la quota di vita dell’area urbana: qui l’ ultimo tratto del muro era complementato da strutture più snelle, adatte ad essere sagomate per lasciare gli spazi per la difesa con armi da lancio e getto.

LE SEZIONI
La mostra è divisa in quattro sezioni.

Dal mito alla storia
La prima sezione, a cura di Giuseppe Guadagno, presenta, a partire dai miti legati a queste costruzioni, un inquadramento storico e una carrellata sulla tradizione di studi e ricerche sugli insediamenti megalitici.
Ancora ai nostri giorni aggettivazioni quali “ciclopiche”, “pelasgiche”, “saturnie” fanno capolino qua e là, scomoda eredità di una “cultura” ottocentesca che accettava acriticamente i dati offerti, attraverso le Fonti, da una tradizione antica dove si fondevano dati storici e Mitologia attribuendo di conseguenza la costruzione di questi recinti murari di volta in volta ai Ciclopi, ai mitici Pelasgi o al Re Saturno.
La tradizione mitologica, infatti, diceva che Saturno, dio dell’Olimpo, detronizzato dal figlio Giove e cacciato in esilio, si rifugiò nel suolo italiano, in quel territorio che, dal suo “stare nascosto” (lateo), prese il nome di Latium: qui regnò a lungo in pace dando vita ad una favolosa “età dell’oro” ed ai Saturnia regna, mentre la tradizione ottocentesca gli attribuiva la fondazione di centri (Alatri, Anagni, Arpino, Atina, Ferentino) caratterizzati dalla presenza di questo tipo di murazione difensiva. A questo filone mitologico si sovrapponeva quello relativo ai Ciclopi, mitici fratelli di Saturno, tirati in ballo già nell’antichità come costruttori di queste enormi fortificazioni in Grecia (Tirinto e Micene), da dove si riteneva che nel II millennio a.C. queste tecniche costruttive fossero pervenute sul suolo italiano. Questo successivo passaggio si attribuiva ai mitici Pelasgi, “gli uomini del mare”, stirpe antichissima, che avrebbe abitato il territorio greco prima dell’insediamento colà dei Greci, poi da qui spostatosi in Italia ad occupare il territorio tra Garigliano e Tevere, tra catena appenninica e la costa laziale tra Ostia e Minturno.
Storicamente si può far risalire l’attenzione alle murazioni “megalitiche”, come oggi le definiamo, al 1829: in coincidenza con la prima annata delle pubblicazioni dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, in particolare “Bullettino” ed “Annali”. L’inizio del nuovo secolo segna una ulteriore svolta fondamentale perchè nel 1901 si arriva finalmente allo scavo archeologico di quel centro, Norba, sulla cui importanza concordano tutti: fautori e detrattori delle teorie “pelasgiche”.
Da qui è tutto un susseguirsi di ricerche e di scavi: a partire dagli anni ‘80, la massa di documentazione è tale da rendere necessaria una sistemazione organica. Negli anni successivi la ricerca sugli insediamenti megalitici subisce un notevole incremento e a tutt’oggi la ricerca è continuamente work in progress.

Archeologia
In questa sezione, a cura di Giovanni Maria De Rossi, viene fatto un approfondimento dell’ aspetto archeologico con una particolare focalizzazione sulla tecnica costruttiva, sulla realizzazione e sulla fruizione delle mura megalitiche.
Dalle prime sperimentazioni, caratterizzate da un affiancamento e da una sovrapposizione di blocchi assolutamente irregolari, per lo più appena sbozzati, si passa a successivi miglioramenti che portano ad una progressiva diminuzione degli interstizi fra i blocchi e fra i filari. Nel Lazio meridionale questo modo di costruire è testimoniato, in base alle precise risultanze degli scavi archeologici, a partire dal VII secolo a.C. Un cambiamento radicale si ha con l’apporto di maestranze esterne al Lazio, provenienti forse dall’ Italia meridionale, che, forti di collaudate esperienze, imprimono alla tecnica una consistenza ed un aspetto completamente rinnovati: ora i blocchi, sagomati con la facciavista dal profilo poligonale sono affiancati, combaciando ora perfettamente tra di loro grazie alla sistematica regolarizzazione dei lati di contatto. Questo sostanziale mutamento nel sistema di costruire un muro in opera poligonale è testimoniato con sicurezza, in base agli scavi, a partire dal pieno IV secolo a.C.
Una volta raggiunta questa alta padronanza nella lavorazione della pietra e nella loro messa in opera, si passa rapidamente ad una fase costruttiva che potremmo definire di tipo “industriale”: in breve si arriva alla codificazione di una tecnica, caratteristica ora del Lazio meridionale, la quale si protrae sino al I secolo a.C., spostandosi, nelle sue applicazioni, dalle zone di altura a quelle di pianura e costiere.

Le mura poligonali della Provincia di Frosinone
La terza sezione, sicuramente la più significativa del percorso espositivo, esponendo per la prima volta i materiali provenienti dal territorio vuole contestualizzare le mura poligonali, gli insediamenti, i terrazzamenti e altre testimonianze della zona del frusinate ad oggi individuate.
Il territorio che oggi rientra nella Provincia di Frosinone e che comprende 91 comuni, nel corso dei millenni ha cambiato più volte di appartenenza. Andando indietro nel tempo, tanto da arrivare al mito, è proprio nel territorio in questione che possiamo riconoscere la Saturnia tellus: qui infatti sorgono Ferentino, Anagni, Alatri, Arpino e Atina, città fondate secondo la tradizione da Saturno stesso, come elencava esattamente duecento anni fa Marianna Candidi Dionigi.
Le mura poligonali sono legate alla storia di questa Terra, costituendo, insieme alla arcaica rete dei percorsi, la base del disegno del territorio sul quale nei due millenni successivi si sono sedimentate chiesette e cattedrali, rocche e castelli, palazzi nobiliari e rioni di abitazioni. Rimaste nascoste per secoli, sono entrate in un alone di dimenticanza che ha iniziato a diradarsi alla fine del Settecento quando l’abate Louis Charles Francois Petit-Radel inizia un lavoro di ricerca che dà il via ad un grande fermento di studiosi, storici ed artisti intorno alle mura megalitiche. Un discorso a parte, infatti, merita un excursus storico sui primi viaggiatori che si sono interessati alle mura della Provincia di Frosinone. In mostra alcune incisioni, volumi originali e fotografie di Marianna Candidi Dionigi (1809), di Thomas Ashby (1927), di Luois Charles François Petit-Radel, di John Izard Middleton, di Edward Lear, e le testimonianze scritte del viaggio in Italia, e in particolare nel Lazio, di Ferdinand Gregorovius.
Il cuore della mostra è costituito dalle isole espositive, con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, nelle quali verrà approfondita la conoscenza dei numerosi centri della Provincia di Frosinone che presentano una caratterizzazione di insediamenti in opera poligonale.

Archeoastronomia
Infine, Giulio Magli si occupa della fascinosa e ricca di suggestioni Archeoastronomia che vuole individuare particolari allineamenti astronomici e interpretarli nel loro contesto storico-archeologico. Nel caso delle mura poligonali l’esistenza di allineamenti astronomici secondo alcune teorie potrebbe essere documentata in molte delle acropoli megalitiche. Nell’ antichità lo studio dei cicli celesti era legato, infatti, alla religione e alla gestione del potere e gli astri entravano in modo fondamentale nello scandire le attività agricole ma anche le attività religiose e politiche, come feste e celebrazioni annuali. Di conseguenza, molto spesso conoscenze astronomiche vengono incorporate, talvolta in modo sorprendentemente complesso, nell’ architettura.

Il catalogo, a cura di Alessandro Nicosia e Maria Cristina Bettini, edito da Gangemi Editore, si pregia del contributo scientifico di numerosi studiosi.
La mostra è arricchita dai filmati provenienti da Rai Teche e dai numerosi documenti forniti dall’ Archivio di Stato di Frosinone.

Catalogo: Gangemi Editore
INGRESSO LIBERO
Orario: dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30; venerdì e sabato 9.30 – 23.30; domenica 9.30 – 20.30
Per informazioni: tel. 06-6780664